sono
in pietre dure ed in marmi. Le ho costruite sul
posto con una libera
concezione del mosaico. Le
bardature hanno un sapore
arabo-bizantino, e le ho
realizzate col mosaico
tradizionale. Il
murales al
Municipio, là le sculture in bronzo. Qui panche e
gettacarte in pietra. Tutto in un tut'uno, bisogna
progettare.
"L'arte nel contesto urbano".e non
"arredo". Non tutti i luoghi sono uno
scrigno di
cristallo, una passeggiata
pedonale sterilizzata.
Sovente
l'oggetto pensato a tavolino deve fare
i conti col motorino, con le insegne, con l'assenza
di normative. Il conflitto è
interesante.
Non puoi
gestire un'ideale sottovoce. Devi importi con
sapienza.
Meglio dire: "Arte come
azione nel
contesto urbano"... non
solo oggetti artistici,
illuminazione significante... il rigore della
pietra, lo splendore del bronzo, lo scoppio dei
colori... ma anche -
nell'agorà - una posibile altra
manifestazione culturale...
L'arte
di Silvio Benedetto di
Dacia Maraini *
Anni fa,
quando non aveva ancora il barbone che lo fa assomigliare ad un
Carlo Marx pensoso e sornione, Silvio Benedetto era uno dei più
accaniti assertori del teatro fatto in casa. La sua, bisogna dirlo,
era una formula felice che ebbe un buon successo nel mondo del
teatro underground romano.
Casa Benedetto si trasformava ogni sera in teatro. E fra la cucina,
la camera da letto, il soggiorno, lo studio si dipanava il mistero
di un erotismo ironico e a volte grottesco che si concentrava
attorno al corpo bianco e splendente di Alida Giardina.
Oggi quei corpi in movimento, acquietati dal punto di vista erotico
ma ancora capaci di creare curiosità e inquietudine in chi li
guarda, li troviamo nelle strade e nelle piazze di Campobello di
Licata.
Corpi obliquamente teatrali, anche se
colti in pose da vita quotidiana. Ma è proprio quello che succedeva
nella casa-teatro di via Scialoja a Roma, quando l'intelligenza
registica di Silvio mescolava arditamente il familiare più banale
con la mistica più inusuale, l'esotismo più stravagante con le
abitudini casalinghe di tutti i giorni.
Come interpretare se no quelle due bambine che giocano sulle rocce
vicino ad una vasca, e mentre una si sbilancia cacciando il braccio
nell'acqua l'altra si tira indietro con la testa sollevando i piedi
a ripararsi da uno spruzzo più prorompente degli altri?
Lo stesso si può dire di quella portatrice d'acqua che troviamo su
un piedistallo nella piazza principale di Campobello. Niente di
eroico nel suo atteggiamento dimesso, quotidiano, niente della
retorica della "povera gente". C'è solo lo sguardo
attento e puntiglioso di un regista che controlla il costume, i
gesti, la voce della sua attrice sulla scena
.Così
come succede con l'altra figura, quella maschile, in piedi di fronte
alla donna. Tutti e due hanno la bocca aperta, proprio come due
attori che stanno per dire la loro battuta. Essi conoscono il
massimo dell'artificio nel minimo di una messa in scena fissa e
rigida ma non per questo meno in movimento.
E che dire di quelle figure mezze
sepolte nelle montagne di rena: un cavaliere, delle paesane, un
leone, un contadino? Qui il naturalismo iniziale viene scardinato e
mandato in pezzi dal gioco sapiente delle proporzioni: II gigantesco
messo a confronto col microscopico, le figure più astratte e
geometriche accanto ai corpi minuziosamente modellati di uomini e
donne da presepe.
In questo gioco dei corpi pronti a recitare la loro parte ma anche
pronti a ridere della propria recita sta l'arte di Silvio Benedetto.
E proprio lì dove il teatro interviene a modificare, trasformare,
provocare in una metamorfosi continua e carnevalesca, la pietra si
fa leggera, mutevole e gioiosa, il bronzo respira e dice, mentendo,
la verità.
DACIA MARAINI (dalla mostra" La metafora della montagna"
bronzi di S. B. al Palazzo dei Normanni
Palermo 1991)
Incidente
in miniera - Auditorium Centro Polivalente
Campobello di Licata, Agrigento 1983